L’Impatto della pandemia sull’economia e sull’ economia circolare

Impatto a livello mondiale

Come riportato dall’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale) le previsioni economiche di inizio anno, pubblicate il 9 marzo di quest’anno dalla commissione europea, indicavano che l’economia europea era destinata a restare su un percorso di crescita costante e moderata, continuando a registrare il periodo di crescita più lungo dall’introduzione dell’euro nel 1999.

Questa previsione è stata soppiantata dalla realtà. La situazione peggiora a mano a mano che l’onda dell’epidemia da Coronavirus si allarga da Oriente a Occidente. E ora lo spettro di una grande recessione si fa di giorno in giorno realtà, nelle previsioni degli economisti. Unica incertezza: la dimensione delle conseguenze.

All’inizio di marzo l’OCSE aveva pubblicato una valutazione degli impatti del Covid-19 sull’economia mondiale, prevedendo due scenari, uno in cui l’epidemia rimanesse confinata alla Cina e il secondo invece, peggiore, con una diffusione a livello pandemico. A distanza di due settimane, questa seconda previsione è l’unica a rimanere valida.  Si prevede cioè che il Pil mondiale si riduca dell’1,5% rispetto alle previsioni di fine 2019, portando la crescita mondiale all’1,3%.  Questo ad oggi. La maggior parte del calo del Pil deriverebbe dagli effetti diretti della riduzione della domanda, dell’accresciuta incertezza e della riduzione dei prezzi azionari e delle commodity.

Il commercio si contrarrà di circa il 3% per cento nel 2020, colpendo le esportazioni in tutte le economie. Il tutto senza considerare gli effetti deflazionistici a catena determinati dal crollo della domanda globale.

Questa analisi che sembrano in effetti suscettibili di essere riviste al ribasso. Infatti, l’impatto del COVID-19 sull’economia cinese, che potrebbe essere preso come benchmark anche per le altre economia è peggiore di quanto inizialmente previsto. Gli analisti hanno rivisto al ribasso le stime della crescita cinese, con molti che ora prevedono un calo del Pil nel primo trimestre e una crescita intorno al 3% su base annua, contro il 6% delle previsioni di inizio d’anno.

Se l’economia si riprendesse alla fine del secondo trimestre, nel 2020 la crescita del Pil globale scenderebbe dell’1,0-1,5%.

Nel caso di uno scenario pandemico che non si riduce con l’estate, l’economia vivrà uno shock della domanda che durerà per la maggior parte dell’anno. Nel complesso, questo scenario si tradurrebbe in una recessione, con una crescita globale che nel 2020 scenderà tra il -1,5% e il +0,5%.

In conclusione, lo scenario attuale della pandemia porta a concludere che le principali economie andrebbero in recessione per tutto il 2020.

L’impatto in Italia

Sempre per l’ ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale), in Italia, in pieno allarme Coronavirus, gli scenari sono due.

Il primo lascia spazio a una ripresa, che arriverebbe comunque l’anno prossimo ed ipotizza che l’emergenza del Coronavirus finisca a maggio e indica che, mettendo insieme il 2020 e il 2021, per le imprese italiane verrà bruciato un giro d’affari complessivo di 275 miliardi di euro, rispetto all’evoluzione che era prevedibile prima dell’arrivo dell’epidemia (si prevedeva infatti una crescita di fatturato del 1,7% quest’anno e del 2% il prossimo anno). Se l’emergenza finisse a maggio, le imprese italiane potrebbero riuscire già dal prossimo anno a recuperare un livello di fatturato superiore dell’1,5% rispetto a quello ottenuto nel 2019.

Se la fine della pandemia si protraesse fino a fine anno, spostando così l’inizio della ripresa economica, i settori produttivi subirebbero e reagirebbero in modo diverso, con uno stimolo positivo per il settori farmaceutici/sanitari e alimentari e negativo per automotive e turismo, come ci viene rappresentato da Cerved.

L’impatto sulla economia circolare

Questa situazione ci deve portare ad analizzare nuove strade o ad accelerare delle trasformazioni già in atto incluse le trasformazioni legate alla Economia Circolare e cioè ad un sistema economico pianificato per riutilizzare i materiali in successivi cicli produttivi, riducendo al massimo gli sprechi.

Per definire lo stato dell’economia circolare si devono considerare la situazione dei seguenti settori di riferimento: produzione, consumo, gestione dei rifiuti, materie prime seconde, investimenti ed innovazione.

A ciascuno si questi settori sono addebitati degli indicatori che possono dare una idea del grado di Economia Circolare raggiunto.

Come indicato dal Circolar Economy Network, l’applicazione di questi indicatori porta all’ottenimento di una somma dei punteggi di ogni settore, che ci dà “l’indice complessivo di circolarità”. Il calcolo di questo indice a livello europeo sembra confermare per il 2019 la prima posizione dell’Italia, indicata con 100 punti, seguita dalla Germania a 89, dalla Francia a 88, dalla Polonia a 72 e dalla Spagna a 71.

Di seguito alcuni approfondimenti sui settori di maggior interesse per le aziende coinvolte nella realizzazione di una economia circolare.

Gestione dei rifiuti

La produzione pro capite di rifiuti urbani in Italia nel 2018 è stata di 499 kg/abitante di rifiuti, sostanzialmente stabile rispetto al 2016, contro una produzione media europea di 488 kg/ab.

In Italia il riciclo dei rifiuti urbani risulta in crescita. Nel 2018, secondo i dati Eurostat, è stato pari al 50%, in linea con la media europea: siamo al secondo posto, dopo la Germania. La percentuale di riciclo di tutti i rifiuti è invece pari al 68%, nettamente superiore alla media europea (57%): siamo al primo posto rispetto alle principali economie europee. Lo smaltimento in discarica per l’Italia è sceso al 22% (con una riduzione significativa dal 48% del 2009): in linea con la media europea, ma con valori ancora elevati rispetto alla Germania e alla Francia. Ciò nonostante permangono alcune criticità da tempo note, come i ritardi di alcuni territori nella gestione dei rifiuti urbani e una squilibrata distribuzione geografica degli impianti di trattamento.

Criticità che sono esaltate in questo periodo di Covid-19 e, proprio a questo proposito la Regione Lombardia ha emanato un decreto (n. 520 del 1 aprile 2020) avente ad oggetto “Ordinanza contingibile ed urgente ai sensi dell’art. 191 del D.L.vo 152/2006. Disposizioni urgenti in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica a seguito dell’emergenza epidemiologica da Covid- 19”, come ipotizzato dalla Circolare del MATT del 27 marzo scorso. Vengono così adottate –in questa regione – delle forme straordinarie, temporanee e speciali di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, che riguardano, in particolare, la raccolta dei rifiuti urbani, il servizio di spazzamento strade, i Centri del Riutilizzo, le attività degli impianti di incenerimento e degli impianti di trattamento rifiuti.

Al punto 17 del decreto viene specificato: “siano concesse, nel rispetto delle disposizioni in materia di prevenzione incendi, ai soggetti che gestiscono rifiuti in deposito temporaneo le seguenti deroghe automatiche a quanto previsto dall’art 183 , comma 1, lettera bb) del d.lgs. 152/2006 e in particolare:

  • i rifiuti gestiti in deposito temporaneo possono essere avviati ad operazioni di recupero o smaltimento con frequenza semestrale, invece che trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito;
  • devono essere inviati ad operazione di recupero e smaltimento i quantitativi di rifiuti in deposito temporaneo che raggiungano i 60 metri cubi di cui al massimo 20 metri cubi di rifiuti pericolosi, invece di 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi”

Il mercato delle materie prime seconde

In questo settore l’Italia si mantiene al secondo posto dietro la Francia. Nel 2017, calcolando la movimentazione entro l’UE ed extra UE, in Italia il bilancio dell’import/export di materiale riciclato registra un rapporto dell’import di oltre il doppio rispetto all’export, segnalando non solo una potenzialità insoddisfatta di re immissione di questi materiali nei processi produttivi interni, ma anche una movimentazione complessiva di oltre 99 milioni di tonnellate di merce. Questo dato fornisce due segnali, uno positivo e l’altro negativo:

  • Il primo ci dice che il sistema produttivo italiano è capace di valorizzare il materiale riciclato e che quindi ne esiste una domanda.
  • Il secondo è che non siamo in grado di soddisfare appieno questa domanda mediante una maggiore valorizzazione dei rifiuti sul nostro territorio.

Considerando, infatti, che tra rifiuti urbani e speciali oggi in Italia finiscono in discarica circa 18 Mt, possiamo ragionevolmente sostenere che la nostra economia sia pronta per sostenere un’ulteriore diminuzione di questa forma di smaltimento. Ma ciò è possibile solo potenziando l’infrastrutturazione del settore del trattamento mirato alla valorizzazione dei rifiuti.

Innovazione e investimenti

Nella valutazione complessiva delle prestazioni relative a investimenti e occupazione l’Italia è ben dietro alle economie concorrenti: il valore è circa 2,5 volte più basso rispetto a quello della Germania e 2 volte inferiore a quello della Francia, denunciando un basso livello di stanziamenti pubblici e di investimenti privati in questo settore, così come di lavoratori occupati nella ricerca e sviluppo eco-innovativi. Limite parzialmente attenuato da un soddisfacente livello dell’indice di output di eco innovazione, cioè dei risultati ottenuti grazie proprio agli investimenti.

L’economia circolare, occupazione e nuove figure professionali

Per quanto riguarda l’occupazione in alcuni settori dell’economia circolare (riparazione, riutilizzo e riciclo) l’Italia si pone al secondo posto (dietro la Polonia) con un’occupazione del 2,06% rispetto all’occupazione totale.

L’Italia sembra utilizzare al meglio le scarse risorse destinate all’avanzamento tecnologico, permettendo così di recuperare un ritardo che altrimenti sarebbe pesante. Questa capacità esprime, dunque, una forza creativa capace di tradurre in solide realtà buone intuizioni. È dunque ragionevole pensare che l’attivazione di un programma di politiche di sostegno allo sviluppo dell’eco innovazione sull’economia circolare darebbe risultati più soddisfacenti.

Complessivamente, il processo di transizione ad un’economia circolare manca di una visione d’insieme. Per poter essere efficace ed omogeneo sul territorio nazionale, dovrà essere accompagnato dall’adozione di una governance magari anche attraverso la creazione di un’Agenzia per l’economia circolare che possa garantire un efficace sviluppo metodologico, nonché il supporto ai decisori nella realizzazione e nell’implementazione di un’Agenda Strategica che preveda l’assunzione di strumenti di tipo tecnico, normativo, economico e formativo/informativo.

L’economia circolare quindi può creare 500 mila posti di lavoro in Italia in 10 anni, secondo il III rapporto elaborato da Federmanager insieme all’Aiee. Per far questo c’è bisogno però di colmare alcune lacune:

  • Una legislazione ancora stratificata e poco omogenea,
  • carenza di competenze specialistiche,
  • eccesso di burocrazia,
  • difficoltà di accesso al credito.

Da un lato perché il “Cash from trash”, ovvero rendere il rifiuto una risorsa utilizzando gli strumenti di economia circolare, potrà realmente ridurre i costi, e lo può fare in maniera significativa.

Dall’altro perché aumenteranno i cosiddetti “nuovi rifiuti”, quelli per esempio derivanti dallo sviluppo di fonti rinnovabili, secondo i principi della green economy. Rifiuti spesso destinati alle discariche, provenienti da turbine, moduli fotovoltaici, pompe di calore e batterie, per esempio, e anche per questi si dovranno sviluppare sistemi di riuso o di smaltimento innovativi ed efficienti.

Ma questo rapporto non è l’unico, è solo il più recente, anche secondo le stime di Enea in questo ambito i posti di lavoro aggiuntivi che potrebbero essere creati dai settori impattati da un’economia circolare ambiziosa (rifabbricazione, riparazione, riciclo, terziarizzazione e bioeconomia) sono notevoli. Il loro modello stima, infatti, che nello scenario di trasformazione  i posti di lavoro previsti nel 2030 incrementerebbero di 540 mila unità. Continuando, invece, con le politiche attuali si limiterebbe l’incremento del tasso di occupazione a soli 35 mila posti di lavoro. Anche Bruxelles stima che l’economia circolare creerà 580.000 posti di lavoro entro il 2030; e la completa implementazione delle misure EU per la gestione dei rifiuti potrebbe aggiungere 170.000 posti di lavoro entro il 2035. Tutte queste previsioni sono al momento rivedibili, per numero e per periodo temporale, dovuto al COVID-19, ma non per trend di crescita. Il Report GreenItaly 2019, realizzato dalla Fondazione Symbola, racconta come questo impatto sta giovando e può ancor più giovare anche all’economia nostrana. Infatti, l’occupazione nell’economia circolare cresce anche in Italia, che oggi può contare circa 3 milioni di occupati in green jobs, 100mila in più rispetto allo scorso anno. Tanto spazio nel settore del riciclo, ma anche numerose professioni altamente specializzate, dalla finanza al management industriale. Secondo queste analisi di Fondazione Symbola e Unioncamere, nel 2018 il numero dei green jobs in Italia ha superato la soglia dei 3 milioni: 3.100.000 unità, il 13,4% del totale dell’occupazione complessiva (nel 2017 era il 13,0%). L’occupazione green nel 2018 è cresciuta rispetto al 2017 di oltre 100mila unità, con un incremento del +3,4% rispetto al +0,5% delle altre figure professionali. Per cui il trend è in crescita e le potenzialità sono notevoli.

Come arrivare a questi trend a livello di sistema paese? La gestione efficace dei rifiuti, considerati risorse in un’ottica circolare, è per ogni fonte, per ogni rapporto analizzato, un punto chiave per lo sviluppo di nuovi posti di lavoro e aumento di competitività. Per cogliere queste opportunità c’è però molto da fare, le istituzioni dovrebbero indirizzarsi verso interventi coerenti con i principi dell’azione ambientale in tema di rifiuti, utilizzando una regolazione chiara, snella ed efficiente, che induca gli operatori a investire in tecnologie di gestione dei rifiuti già presenti e in Ricerca e Sviluppo al fine di trovare nuove soluzioni tecnologiche specificatamente impegnate nel green business. Altro punto debole è la carenza di competenze specialistiche, il know how dentro le aziende.

In quest’ottica, un volano di sviluppo decisivo dovrà essere colto in campo europeo. Secondo la Ellen Mc Arthur Foundation, presa a riferimento dallo studio della commissione UE, la transizione verso un’economia circolare in tutti i settori consentirà all’Ue un risparmio netto annuo fino a 640 miliardi di dollari sul costo di approvvigionamento dei materiali per il sistema manifatturiero dei beni durevoli (circa il 20% del costo attualmente sostenuto), del quale non potrà che trarre giovamento anche un Paese storicamente povero di materie prime seconde (ottenute riutilizzando gli scarti delle materie prime) come l’Italia. Tanti nuovi lavori dall’economia circolare rimpiazzeranno anche quelli persi dell’economia lineare. È sempre però consigliabile vedere la bilancia occupazionale netta perché se tanti nuovi lavori saranno creati dall’economia circolare, ci sarà anche chi avrà perso un lavoro legato all’economia lineare. «Se si ricicla di più, per esempio, ci saranno meno posti di lavoro nei settori delle materie prime tante persone dovranno trovare un nuovo lavoro e dovranno passare dal settore primario a modelli più circolari».

In ogni caso tanti lavori nuovi nasceranno nei prossimi anni o richiederanno a professioni esistenti di trasformarsi.

Il “Circular Economy Manager” è di fatto una nuova figura manageriale nata per gestire i processi di transizione circolare all’interno di grandi imprese. Oltre questa neo-professione sono emerse varie nuove tipologie occupazionali.

Più volte è stato menzionato il ruolo del “Progettista di prodotti e imballaggi circolare” che si deve occupare di riprogettare beni e servizi impiegati ogni giorno per facilitare il riciclo. Altra figura, questa volta di stampo più amministrativo, è lo “Specialista di investimenti circolari”. Questi nuovi esperti finanziari dovranno essere in grado di attivare le giuste risorse finanziarie per accelerare la transizione Circular.

Esperti del settore retail, al dettaglio e la Grande Distribuzione Organizzata (GDO) segnalano la necessità di creare addetti al “Servizio clienti post-acquisto”. Con il boom di prodotti venduti come servizio, la corretta formazione e informazione dell’acquirente e il supporto affinché possa impiegare il prodotto (che di fatto rimane proprietà dell’azienda) nella maniera più consona sono sempre più importanti.